L’ampio salone ora noto come “Sala del ‘600” era in precedenza la sala del Capitolo del monastero delle clarisse. Abbandonata e tinteggiata a calce bianca, era destinata da tempo imprecisato a legnaia e ripostiglio. Nessuno poteva immaginare che sotto la tinteggiatura si nascondevano pregiati affreschi risalenti alla seconda metà del 1600.
La scoperta fu casuale e avvenne negli anni ’50 del secolo scorso. In occasione di un violento temporale, l’acqua filtrante dai tetti staccò parte dell’intonaco che dal soffitto cadde frantumandosi sul dissestato pavimento.
I rottami di gesso impregnati di colore fecero sospettare la presenza di dipinti cancellati – non si sa quando e perché – da una copertura superficiale di tinta a calce. Si trattava effettivamente di affreschi che valeva la pena di recuperare, eseguiti al tempo di suor Caterina Angiola (Eleonora d’Este). Gli affreschi furono portati pazientemente allo scoperto e in seguito catalogati a cura della Sovrintendenza delle Belle Arti in attesa di auspicabili possibili restauri.
Alfonso Garuti attribuisce questa decorazione ai bolognesi Colonna, Mitelli, Monti e Bianchi, un’equipe di esperti della decorazione scenografica e della prospettiva dal basso all’alto introdotta nel modenese dalla scuola di Andrea Pozzo. Arte delle meraviglia, opera del barocco peraltro poco in sintonia con l’austerità di un monastero; fughe di colonnati e balaustrate ove svolazzi di animali, fiori e drappeggi creano un’atmosfera fantastica.
Sulle pareti, purtroppo ancor più consumate figure di santi sono collocate entro sontuose nicchie ed opulenti cartigli.
Agli angoli della sala le bianche aquile estensi, opera databile alla seconda metà del ‘600.
Questa sala, chiamata appunto “del ‘600″, nuovamente restaurata negli ultimi anni, è disponibile per incontri, dibattiti, convegni del mondo cattolico e della società civile.